I tempi sono maturi per l’attuazione dell’articolo 30 della Costituzione che stabilisce il «dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli». Un modo c’è: il “buono scuola”

Lo Stato, invece di intervenire solo nel caso «di incapacità dei genitori» come stabilito nel medesimo articolo, entra a gamba tesa nell’istruzione di regola e in prima battuta.
Erede incondizionata in questo del regime fascista, la Repubblica ha scelto di conservare il quasi-monopolio del servizio scolastico, che lo Stato fornisce a tutti con proprio personale in modo in teoria uniforme e indifferenziato.
È un monopolio di tradizione francese entrato in Italia con il regno sabaudo. Compare nella storia con la Rivoluzione, deciso dall’Assemblea Nazionale nel 1791 e poi delineato nel 1792 da Condorcet nel suo Rapport sur l’Instruction Publique ove per la prima volta si stabilisce che la scuola deve essere «unica, gratuita e neutra». Il fascismo lo ampliò e lo completò. Il fatto che poi questa eredità non sia stata messa in discussione da alcuna forza politica, ma anzi sia stata fatta propria dall’intero schieramento dei partiti post-fascisti può forse spiegare la convinzione, così diffusa in Italia, che fare scuola sia un tipico compito dello Stato: un’idea che altrove non esiste. Anche nell’Italia democratica e repubblicana i genitori hanno perciò continuato a restare esclusi dalle scelte in tema di istruzione, in pieno contrasto coni l’art. 30.
A meno che possano farlo a proprie spese, i genitori in Italia infatti non hanno modo di scegliere in quale scuola e da quali insegnanti far istruire i propri figli. Solo a 52 anni dall’entrata in vigore della Costituzione, con la legge n.62 del 2000, è stato finalmente riconosciuto che «il sistema nazionale di istruzione (…) è costituito dalle scuole statali e dalle scuole paritarie private e degli enti locali». Dunque le scuole paritarie ne fanno parte non meno delle scuole statali. Tuttavia in quella stessa legge è stato ribadito «quanto previsto dall’articolo 33, secondo comma, della Costituzione» ossia che «Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato»: una frase che è stata poi sempre usata per negare qualsiasi aiuto economico sia alle scuole non statali che alle famiglie dei loro scolari e studenti. Così il diritto che l’art. 30 riconosce ai genitori resta sulla carta non essendo state create le condizioni necessarie al suo esercizio.
C’è inoltre da osservare che in caso di monopolio, venendo meno la sovranità dell’utente e quindi il suo diritto di scegliere che cosa comprare o non comprare viene meno anche il più efficace strumento del controllo di qualità del bene o servizio offerto. Ciò vale anche per il monopolio statale della scuola pubblica gratuita o semigratuita. Il gradimento o meno delle famiglie degli alunni non conta. Sulla qualità dell’insegnamento nella scuola statale – gravata tra l’altro anche dalle conseguenze del dissennato carosello annuale degli incarichi degli insegnanti – l’utente non ha alcuna voce in capitolo. È certamente vero che nella scuola statale ci sono insegnanti capaci e motivati, ma nulla se non la loro coscienza li spinge ad essere tali. Nessuno può apertamente preferirli al posto di altri che non lo sono.
Alle recenti dichiarazioni del Ministro, Giuseppe Valditara, che ribadivano la natura di “servizio pubblico delle scuole paritarie” e proponevano l’introduzione del “buono scuola” per garantire la libertà di scelta educativa a tutte le famiglie, anche a quelle meno abbienti, si è sollevata un’immediata reazione di politici e sindacalisti contrari a finanziare le scuole private (!) a discapito delle scuole statali.
Va, anzitutto, puntualizzato che non si tratta di scuole private ma di scuole paritarie (ex legge 62/2000) e che con i 750 milioni, assegnati per circa 750.000 allievi delle paritarie, lo Stato attribuisce circa 1.000 euro a ciascuno e ne risparmia circa 6.000, versati alla scuola dai genitori. Quindi non è corretto ripetere che si sottraggono fondi alle scuole statali; anzi più allievi frequentano le scuole paritarie e più lo Stato ha fondi a disposizione per le scuole statali.
Semmai si pone il problema, ignorato in modo paradossale da sindacati e da sinistre, che con mille euro a disposizione i genitori meno abbienti non possono, né hanno mai potuto, accedere alle scuole paritarie, venendo deprivati dal diritto costituzionale della libertà di scelta dell’istruzione e della scuola per i propri figli (articoli 30,31 della Costituzione).
A questo proposito non ha trovato ascolto neppure il Ministro Luigi Berlinguer che ripeteva: ”La legge di parità è una legge di sinistra perché permette anche ai meno abbienti di poter disporre di offerte formative che altrimenti sarebbero riservate solo a chi ha possibilità economiche”.
In effetti era questa la novità più significativa della legge di parità: permettere anche ai meno abbienti di scegliere tra scuole statali e scuole paritarie, ma è stato il principio più trascurato nei decenni successivi. Si è preferito continuare nella polemica tra sostenitori delle scuole statali e sostenitori delle scuole paritarie, oppure nello scontro storico tra la libertà di insegnare da parte dello Stato o da parte della Chiesa.
E’ stato violato il dovere istituzionale di porre fine a una grave discriminazione con l’assicurare alle famiglie svantaggiate i loro diritti educativi “rimovendo gli ostacoli economici e sociali che limitano di fatto la libertà e l’uguaglianza “(art. 3 della Costituzione). Anche ultimamente, in occasione dell’approvazione dell’ultima legge finanziaria, erano stati presentati emendamenti in favore del “buono scuola per le famiglie meno abbienti”, ma sono stati cassati a riprova del persistere di una grave
pregiudiziale ideologica nei riguardi dei diritti – doveri educativi dei genitori.
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